Tremore a riposo, rigidità, instabilità posturale, lentezza dei movimenti automatici, depressione e lentezza nel parlare.
Sono tra i principali sintomi associati al Parkinson, una ‘malattia,che deriva dalla degenerazione di una zona molto limitata dell’encefalo, la sostanza nera (substantia nigra), che produce la dopamina e aiuta a coordinare l’attività motoria.
Approfondisce il tema il dottor Giuseppe Frazzitta, responsabile del Gruppo di Neuroriabilitazione della Società Neuroscienze Ospedaliere (SNO), in vista del 62esimo Congresso Nazionale delle Scienze Neurologiche Ospedaliere (SNO), che si terrà a Firenze dal 27 al 30 settembre, presso il Palazzo degli Affari.
Dopo la malattia di Alzheimer il Parkinson è la malattia degenerativa più diffusa: “È certamente una patologia molto diffusa, anche se mettere insieme da punto di vista dell’impegno e della gravità l’Alzheimer con la malattia di Parkinson è, a mio parere, improprio – ha commentato Frazzitta – Questo perché la malattia di Alzheimer interessa la corteccia cerebrale, mentre il Parkinson esclusivamente la sostanza nera”. Oggi in Italia a convivere con questa patologia sono circa 300mila pazienti. Un numero, questo, cresciuto negli ultimi 30 anni: “Ci sono due motivazioni: la prima è che la popolazione è invecchiata e quindi ha una maggiore possibilità di svilupparla – ha spiegato l’esperto – la seconda è che sono aumentate le diagnosi, questo perché fino agli anni Settanta/Ottanta la comparsa di un lieve tremore o di un rallentamento motorio in una persona anziana della famiglia veniva considerata una normale evoluzione della sua vita e spesso la malattia non veniva diagnosticata. Oggi il numero totale dei pazienti insomma aumenta a fronte di una situazione globalmente stazionaria”. Il Parkinson, intanto, colpisce prevalentemente l’anziano ma non è una malattia dell’anziano e, secondo il dottor Frazzitta, non lo è “mai stata” in senso stretto: “Il Parkinson è stato descritto a Londra per la prima volta (nello studio ‘An Assay on the Shaking Palsy’) nel 1817, quando l’aspettativa di vita era di 39 anni. Generalmente l’esordio è tra i 45-55 anni ma, poiché di questa malattia non si muore, la totalità dei pazienti arriva anche in età avanzata. È per questo che nel nostro immaginario pensiamo che sia una malattia dell’anziano”.
Parlando dei campanelli di allarme, il Parkinson è sostanzialmente una malattia che provoca un danno del movimento automatico. “Nel paziente può iniziare a comparire un lieve tremore, e questo accade nel 50% dei pazienti – ha fatto sapere il dottor Frazzitta – ma la cosa più frequente è che siano i familiari del paziente stesso ad accorgersi di movimenti più lenti o di un piede che magari ‘striscia’ un po’.
Ma quali sono i principali fattori di rischio della malattia? “Il fattore di rischio numero uno è lo stress – ha risposto l’esperto – tutti i pazienti con Parkinson hanno degli eventi stressanti maggiori nell’immediatezza della comparsa dei sintomi della malattia. Quindi certamente lo stress svolge un ruolo fondamentale. Poi naturalmente si deve avere una predisposizione genetica, ma questo vale per tutte le malattie”. Tra i fattori che possono determinare un aumento del rischio di insorgenza della malattia, anche l’esposizione a tossine esogene come pesticidi, metalli e prodotti chimici industriali, oppure lo stile di vita (dieta e fumo). “L’unica cosa certa è che sappiamo che i pesticidi o alcune droghe facilitano il danno a carico della sostanza nera – ha commentato Frazzitta – ma questa condizione da sola non è sufficiente. Lo stesso discorso si può fare per chi fuma un pacchetto di sigarette al giorno senza mai sviluppare un tumore al polmone, ci vuole sempre una predisposizione”.