Edwin Della Torre era un bimbo con la pelle scura che da Santo Domingo arrivò nel cuore della Padania a metà degli anni ‘80. Ora, grazie alle sue origini mal tollerate, ha creato il suo futuro in Italia

“ Quando ero un bimbo io e mio fratello WANDO eravamo gli unici con la pelle di questo colore in tutta la scuola – racconta EDWIN – eravamo arrivati dai tropici alla nebbia della Val Padana al seguito di nostra madre che si era risposata con Agostino, un signore italiano che ci aveva dato il suo nome, una casa, una famiglia. I bulli cominciarono a prendermi in giro quando cominciai a vincere le gare di corsa o di salto senza nessuno sforzo. Allora mi rinfacciavano il colore della mia pelle, la mia diversità da tutti loro.. Erano gli anni in cui nasceva proprio in quei luoghi la Lega Nord e io mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
La gavetta in officina a 16 anni
Per Edwin la gavetta inizia subito e a 16 anni con la terza media in tasca inizia a lavorare in una officina meccanica. “Ero molto arrabbiato, non riuscito a capire il perché di tutto quell’odio nei confronti miei e di mio fratello e così decisi che gliela avrei fatta vedere a tutti. Imparai presto a fare il mio lavoro, ero preciso e responsabile ma a 18 anni mi resi conto che non potevo essere cosi ignorante e la sera iniziai a seguire un corso per il diploma di ragioneria. E anche di percussioni! Il mio sogno segreto infatti era continuare la tradizione di mia nonna e anche di mia mamma, entrambe percussioniste specializzate nella musica tradizionale afro-dominicana, una specie di dinastia”.
Il sogno nel cassetto: diventare percussionista come mia nonna

Buon sangue non mente e, nonostante la mancanza di pratica, Edwin riesce ad inserirsi nella comunità degli artisti del periodo, complice l’ONDA LATINA della metà degli anni ’90 che ebbe nel Festival LatinoAmericando di Pepe Fabiani la sua più efficiente e leggendaria cassa di risonanza. “ In quel periodo l’Italia era un palcoscenico permanente, molto attrattivo per artisti di fama internazionale – ricorda Edwin – Così ho avuto maestri eccezionali quali Orlando Watussi, Rodolfo Guerra, Berni Nash, Pietro Sala. Riuscivo a suonare anche 4, 5 volte alla settimana e senza mai mancare una volta in officina. Era tutto alla luce del sole, anzi i miei colleghi a volte venivano persino ai miei concerti”.
La “vida loca” : quando si dormiva due ore a notte
E per non farsi mancare nulla Edwin è nelle fila dell’Accademia di pugilato di Crema, un training che avrà un ruolo decisivo per la vita futura. “ La mia giornata tipo iniziava in officina a Caravaggio alle 7 fino alle 18,30. Poi mi spostavo a Crema all’allenamento di pugilato fino alle 21,30. Andavo a casa, e verso le 23 partivamo alla ricerca di un posto per suonare. Era una comunità di circa 30 artisti e c’era lavoro per tutti. Tempi incredibili quelli! Dormivo 2 o 3 ore a notte, era una “vida loca”, e nel mio core volevo vivere di musica”. E cosi nel 2008 Edwin lascia l’officina e dopo 6 mesi di regolare periodo di preavviso si trova disoccupato perché nel frattempo nel 2008 la crisi finanziaria USA si fa sentire anche sui palcoscenici della movida italiana.
il salto nel buio: l’addio al lavoro sicuro per vivere di musica
Perfect time. Ma Edwin non si perde d’animo e per 4 mesi trova lavoro alle poste per poi accettare di lì a poco l’ incarico in una palestra. Il suo buon umore e la comunicativa naturale e la preparazione atletica dell’Accademia di Pugilato lo fanno apprezzare al punto che fare l’istruttore in palestra diventa un lavoro in grado di mantenerlo e permettergli di continuare a suonare nonostante la crisi così da fare dei corsi in palestra e delle serate come artista le colonne del sua vita professionale.
Il colpo di scena della nostra storia
E qui la storia del bambino bullizzato che ha reagito e ce l’ha fatta potrebbe finire se non arrivasse un colpo di scena che scombina non solo la vita del protagonista della storia ma anche del suo pubblico, cioè noi: la pandemia da covid 19 e il conseguente lockdown che per i lavoratori dello spettacolo ha avuto ed ha conseguenze nefaste. “Sia come artista che come trainer mi sono dovuto fermare – conferma Edwin – ma la pace del “#iorestoacasa” non è durata a lungo. Mi rendevo conto che quella chiusura forzata poteva essere molto pericolosa per la mia gente della palestra, abituata a faticare tre volte alla settimana. Volevo che il mio gruppo potesse avere ancora il suo workout.
Come diventare una star del lockdown

Abbiamo iniziato in modo tranquillo. Ho creato un gruppo libero su facebook e ho registrato dei tutorial gratuiti. Ma poi la cosa mi è sfuggita di mano e non è stato più necessario spronare le mie allieve a reagire.60 tra ragazze e ragazzi si sono organizzati e mi hanno chiesto un vero e proprio Piano Corsi on line, raccogliendo già le quote dell’iscrizione e pagandomi per un programma che non avevo ancora nemmeno inventato. Io, che avrei dovuto incoraggiare le mie allieve , ho finito per essere il primo ad essere spronato dal loro. La cosa ha preso un ritmo talmente efficiente che io stesso alla fine della quarantena ho dovuto invitare le mie allieve a tornare alle lezioni in presenza. Ho detto “prendete il coraggio uscite di casa”! Non è stato facile né per loro né per Ma io sono abituato a non arrendermi mai”.
Il maestro di tutte le battaglie: Agostino Della Torre
Anche Edwin infatti ha avuto un grande coach, qualcuno che gli ha spiegato come stare al mondo “ Se dovessi dire da chi ho imparato a lottare – ci svela Edwin – questo è il mio papà adottivo Agostino, l’uomo che mi ha riconosciuto come figlio facendo sentire me e mio fratello Wando importanti come i miei due fratellini nati da lui e da mia mamma. Di lavoro faceva l’idraulico e quando si è ammalato di leucemia andava a lavorare anche quando gli effetti della chemio lo spossavano. Io, che ai tempi facevo la mia vida loca, quando mi sentivo stanco per andare al lavoro mi dicevo se ce la fa lui messo così con che faccia sto a casa? e, insomma, mi alzavo e andavo. Questa cosa , di sapere far fronte a testa alta alla malattia – mi è servita tantissimo in questi mesi. Perché non l’ho ancora detto ma vivo a 26 km da Bergamo, nel cuore del focolaio più contaminato d’Europa. Qui solo a Caravaggio sono morte 84 persone . Gli autocarri dell’esercito che portavano via le bare, immortalati da una le foto che ha fatto il giro del mondo, sono passati da queste parti. Uscire da casa ed andare in palestra per noi è stato molto più che riprendere una buona abitudine. E’ stato combattere il potere paralizzante della malattia come ha fatto mio papa’ fino all’ultimo . Se ora so come fare, e perché questa mossa me l’ha insegnata lui”.
