MONDO

UN CAST DI ITALIANI E MIGRANTI IN “CANTO CLANDESTINO” AL CIQ

Il Teatro degli incontri con gli stagisti di “Doni per il viaggio” e i migranti della scuola d’italiano rievocano il naufragio nascosto del 1996

Il 25 dicembre 1996 nel Canale di Sicilia 283 migranti muoiono mentre vengono trasferiti da una vecchia imbarcazione su un peschereccio maltese che avrebbe dovuto portarli a terra. E’ il più disastroso naufragio nel mare Mediterraneo dai tempi della seconda guerra mondiale eppure i giornali non ne parlano. Solo 5 anni dopo,  nel 2001, la verità letteralmente “viene a galla”. E ciò anche grazie ad alcuni giornalisti coraggiosi che,  indirizzati dalle testimonianze dei pescatori spettatori impotenti di tante morti, ricostruiscono il disastro e ne offrono testimonianza. Uno di questi giornalisti  coraggiosi è Domenico “Mimmo” Sammartino,  e la sua testimonianza nel 2006 diventa il libro  dal titolo “Un canto clandestino saliva dall’abisso”, edizioni Sellerio. Dal libro nel 2018 nasce un adattamento  teatrale a cura di Teatro degli Incontri e del regista, attore  e sceneggiatore Luigi Gherzi  e quindi si  arriva al 15 dicembre 2024, quasi 30 anni dopo, nel “Giardino delle meraviglie” del CIQ di via Fabio Massimo a Milano.   Qui un cast di attori, stagisti e attori migranti che si sono cimentati nella recitazione in italiano ha offerto  una versione inedita del testo diventato ormai un classico.

Babacar Ndiaye

Dinanzi al pubblico portato in scena (o grazie alla scena portata tra il pubblico) i performer di Teatro degli Incontri, i partecipanti al seminario “Doni per il Viaggio” iniziato il giorno 14 dicembre al CIQ, i ragazzi e le ragazze della scuola di italiano Babat Lena (rete scuole Senza Permesso) nonché, in qualità di  special guest, gli attori del C.I.Q. Modou Gueye Aliou Diop, Babacar Ndiaye Rufin Doh, hanno rievocato il dramma del 1996. La scena si apre “in medias res” a naufragio avvenuto, con le notizie del disastro lanciate da quello che nel gioco delle parti di questa complessa orchestrazione corrisponde drammaturgicamente  al “coro”, voce fuoricampo che contestualizza e commenta,  interpretato dagli studenti dei corsi di italiano per stranieri. Il dramma è evocato tramite oggetti simbolici:  ciò che era un indumento,  ora è un relitto. L’evocazione del disastro nascosto dà voce agli interrogativi  dei migranti di tutto il mondo: quale colpa sta dentro alle nostre disperazioni? A chi appartiene la terra che vogliamo calpestare in pace? A chi appartiene il mare? Chi è il padrone dei nostri sogni e della nostra fatica?  Questo progressivo coinvolgimento del pubblico che come detto prima è “in scena” in cerchio intorno agli attori, arriva al culmine quando tra il pubblico si mescolano i migranti che mostrano la rappresentazione grafica  del proprio mondo interiore di sogni e punti di riferimento: sullo schema fisso di una mano stilizzata su un foglio di carta,  ogni migrante presenta a ogni singola persona del pubblico il disegno stilizzato della mano che ha personalizzato  con parole e simboli del suo mondo interiore , trasformando l’immagine in un “mandala” e il rapporto tra due soggetti collettivi, attori e pubblico, in una interazione “faccia a faccia”, anzi “cuore a cuore”. Quindi cosa avrebbero scritto su quel disegno a forma di mano i  ragazzi che sono affogati? E’ il momento del flash back, nel recupero della memoria dei morti, di quello che erano prima di diventare migranti, poi naufraghi e infine corpi in fondo al mare. Quando erano soprattutto figli. E’ una madre a ricordare chi è partito senza più dare notizie mentre  prepara la tavola riservando un posto per tutti, nome per nome, Aisha, Fouad, Anpalagan, per poi riempire acqua ogni piatto, così da affogare quel nome con l’ azzurro del mare. Con un movimento narrativo circolare si arriva al punto di partenza, la notte del disastro, e al mattino dopo quando tutto il mondo tace meno i pescatori che si sono accorti di quello che è successo e che lo racconteranno. Un progetto ambizioso e di grande ispirazione che la partecipazione di attori africani ha reso ancora più incisivo provocando nel pubblico una immedesimazione senza filtri. Quello che fa pensare è il fatto che un testo teatrale e la sua messa in scena possano 20 anni dopo essere ancora così  amaramente “dentro la notizia” dei nostri quotidiani nazionali.

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