GLI ISPIRATORI

ALBERTICO CALDERON RACCONTA: “HO SUPERATO I MOMENTI PIU’ DURI GRAZIE ALLA MIA GRANDE FAMIGLIA: PERCHE’ L’UNIONE FA LA FORZA”.

“Non potrò mai dimenticare la forza che mi hanno dato la mia famiglia naturale, la mia famiglia religiosa  e anche gli amici che dall’Italia hanno continuato a cercarmi. Nei momenti più difficili è per tutti  loro che mi sono detto “Ce la devo fare! In lingua yoruba questo si chiama OGGUNDA MAZA’, l’unione fa la forza”.  Controlla l’emozione parlando lentamente Albertico Calderon,  il maestro dei maestri,   che  Milano Etno TV ha incontrato presso la sua scuola di danza Clalbtimbalaye in occasione dell’evento “La cara europea de Cuba”. E’  tornato da pochi giorni in Italia dalla sua famiglia e dalla community italo cubana dei suoi sostenitori che nella storia che stiamo per raccontare si dimostreranno discepoli modello, capaci di restituire al maestro in difficoltà  tutta la dedizione da lui avuta a suo tempo. Si diramano   numerosissimi dai due epicentri del suo fan club: l’associazione Alblaz e appunto dalla scuola Clalbtimbalaye,   fondata 16 anni fa con la compagna Claudia Nicelli che l’ha diretta con determinazione e fiducia durante la sua assenza. Un’assenza durata 4 anni 6 mesi e 7 giorni  di cui 1 anno 3 mesi e 10 giorni passati nel “centro di detencion”  di Matanzas. In poche parole, in carcere. “ Non ho problemi a raccontare questa parte della mia storia – rivela l’artista –  perché ciò che è successo non centra con alcol o droghe ma dipende dalla fatalità della vita. Il destino di una persona si è incontrato fatalmente con il mio. Tutto è accaduto in un attimo,  senza che potessi fare nulla per evitarlo e il risultato è stato la irrimediabile mancanza di una vita umana, di cui non ho colpa ma che mi ha fatto sentire come se avessi perso un mio familiare”. L’incidente che ha costretto Albertico a Cuba è avvenuto in un momento in cui la notorietà dell’artista in Italia era al massimo: scelto dall’allora Assessorato alla Cultura di Milano per far conoscere la spiritualità e le tradizioni afro-cubane in Italia, era il  mentore di Alblaz, l’associazione no profit di cui si parla in queste pagine impegnata nella missione di costruire un centro ricreativo per i bambini dell’umile quartiere di Juanelo dell’Havana nonché  direttore artistico della scuola di danza Clalbtimbalaye. Pochi giorni prima della sua partenza per Cuba, l’avevamo incontrato al Tocororo in occasione di un evento dedicato agli Orishas, le divinità del pantheon della santeria cubana. Si stava preparando ad una esposizione alla prestigiosa Triennale di Milano,  con la partecipazione all’Expo 2015 all’orizzonte. Il  tutto dopo l’imminente viaggio a Cuba con la sua classe di allievi e con gli amici di Alblaz per una donazione a Juanelo.  Quell’intervista non fu mai pubblicata. “ Il 2 maggio 2013 la mia vita cambiò – continua Albertico –  Dopo l’incidente  compresi sulla mia pelle cosa voleva dire desiderare con tutto me stesso che la terra,  la mia terra,  si aprisse e mi facesse sparire. Ma quello stava succedendo proprio a me. Quando entrai in carcere capii che un conto è dirlo o sentirlo raccontare, un conto è viverlo. Pensavo a tutto ciò che  avevo lasciato fuori e che stavo perdendo. Cosi le difese mi abbandonarono e mi ammalai”.  Solo che “quelli la fuori” invece non avevano nessuna intenzione di rimanere con le mani in mano  e continuarono a darsi da fare, sia concretamente, continuando a sostenere con donazioni Juanelo;  sia spiritualmente, contribuendo a far diventare Albertico Calderon, proprio a causa della sua mancanza,  una celebrity; sia, infine,  affettivamente, andando a trovarlo in tanti,  senza mai farlo sentire solo. “ Grazie all’affetto incondizionato della mia grande famiglia, sia italiana che cubana,  – rivela l’artista – mi dissi “ce la devo fare”. E capii che a Cuba, una volta terminato il primo periodo di detenzione, libero di circolare anche se sotto sorveglianza, avevo molto da fare. La disgrazia di trasformò in un impulso che non avrei mai avuto prima ”.  E fu cosi Juanelo e  suoi bambini divennero un film. Albertico e Alblaz nel 2014  si lanciano nel progetto di un documentario che ben presto fa notizia. “Partecipammo al Festival del cinema dell’Havana con una fortissima copertura stampa. Fummo invitati dal telegiornale e da tantissimi altri media quali Mediodia en TV, Cine tel, Radio Progresso e riuscimmo a far sapere a tutti le condizioni dei bambini del quartiere di Juanelo e la portata dei nostri progetti. E’ cosi che ho riscattato il mio tempo passato a Cuba,  grazie ai bambini di Juanelo ”.  E ora è finalmente è tornato con un rientro che ha colto tutti di sorpresa. “ Sono tornato senza dire nulla nemmeno alla mia famiglia, allo stesso Tito,  mio figlio ( in foto n.d.r.) che vive in Italia dal 2010. Ho lasciato tutti in sospeso fino all’ultimo  perché ero veramente cosi coinvolto in questo contrasto di emozioni, la tristezza per tutti gli anni passati ma anche l’allegria per essere di nuovo qui a calpestare il suolo della mia seconda terra,  che mi sono lasciato un po’ di tempo per abituarmi.  Ora non vedo l’ora di canalizzare tutta questa emozione verso i miei nuovi progetti  che annuncerò  tra qualche settimana”. In questi giorni l’artista è il protagonista  assoluto di un lungometraggio cubano-milanese   intitolato “Il ritorno di Albertico” che culminerà la sera del 17 novembre alla Nuova Idea di Corsico e  in cui i coprotagonisti sono proprio loro, i suoi sostenitori.     “Quando arrivo nei locali, anche se in apparenza sono a mio agio e mi comporto in maniera professionale – conclude l’artista –  e rivedo persone a me tanto care, cubane e italiane,  che mi vengono incontro e mi abbracciano, è un emozione fortissima. Sono consapevole che  avere questo tipo di amici non capita a tutti. E’ un  grande privilegio, perché è per loro che ora posso dire che ce l’ho fatta. Sono loro i miei più grandi ispiratori”.

 

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