E’ successo una sera dell’estate appena passata. Tutto doveva iniziare alle 21.00 al Latin Festival di Assago e alle 20.50 non c’era nessuno al posto giusto: gente con il naso per aria alla ricerca del primo dei tanti mojtos , per nulla consapevole di quello che doveva succedere; per terra una fila di sagome bianche dalla forma di bimbi, tipo quelli che si ritagliano con la carta ma che invece che tenersi per mano si tengono in un abbraccio ( in spagnolo appunto ”ABRAZO”) , si stendeva solitaria intorno a tutto il festival; fotografi che nell’attesa si davano ai selfie.
Poi è successo l’incredibile: Vito Arena, regista dell’evento, ha preso il microfono per parlare alla gente: era arrivato il momento. E come se non aspettassero altro, sentendo la sua voce la “gente”, diventata d’incanto tanti splendidi esseri umani, sono andati uno ad uno a scegliere un posto dinanzi ad una sagoma bianca di bimbo, a dedicare un pensiero di pace al proprio paese del cuore e infine a stendere le proprie braccia verso gli sconosciuti vicini di evento creando dal nulla una catena di abbracci pronta a fare il giro del festival.
Ancora una volta accadeva l’ABRAZO FUTBOLERO, performance artistico – etico – musicale rappresentata per la prima volta dal vivo dall’artista italo Argentino Vito Arena nel 2011 in occasione della Copa America di calcio con l’obiettivo di sensibilizzare partecipanti e spettatori ali valori della pace e dalla fratellanza e la rispetto della vita del proprio simile….TIFOSI AVVERSARI compresi! Dal gioco del calcio, uno degli sport più diffusi al mondo, capace di creare ondate di odio e violenza inauditi, il movimento dell’ABRAZO FUTBOLERO si è esteso in 5 anni in oltre 20 performance dedicate ai valori di pace e fratellanza: dalle Olimpiadi e Paralimpiadi di Londra nel 2012, con Emergency nel 2013, fino ad arrivare addirittura a Roma dinanzi all’amatissimo papa “Francisco” nel 2014 e a San Siro per l’evento Zanetti & Friends nel 2015. Dopo aver intervistato record-men dello sport, atleti paraolimpici che motivano alla vita 20.000 studenti all’anno , donne di ferro in difesa dei bambini abbandonati, ecco per la nostra rubrica un ispiratore di pace: questo è Vito Jose Arena, in apparenza un “dreamer ” alla John Lennon, con la particolarità che lui i suoi sogni di un mondo migliore li fa succedere per davvero tirando dentro un sacco di gente e in questo modo, come dice Lennon, non è più “the only one”.
Vito Arena, come successo agli altri ispiratori, ha dovuto toccare più volte il fondo. “ Nel 2002 ero un affermato art director – ci rivela l’artista – e lavoravo per una web company de La Repubblica a Roma, Kataweb. La mia famiglia, mia moglie e i due bimbi piccoli Sebastian e Asia, erano rimasti a Milano. Ero papà ogni 15 giorni. Dopo due anni capii che così non andava bene, stavo puntando sul progetto sbagliato, trascurando quello che era mio: la mia famiglia. Tornai a Milano, lasciando il lavoro. Sbagliai i tempi, per mia moglie ormai era troppo tardi e incredibilmente mi ritrovai fuori casa, con gli avvocati tra me i miei piccolini, a poterli vedere secondo orari di visita definiti. Di colpo tutto quello che avevo di più caro non c’era più”.
Anche il reinserimento nel mondo del lavoro creativo è difficile e Vito per vivere fa di tutto, purché sia onesto, dal barman al consulente web, e vive ospitato dal suo carissimo amico Antonio. Una sera, era il 2006, arriva una telefonata dall’Argentina. “ Mi chiamò mio fratello – “Vito – disse – nostro padre non c’è più”.” Ma come non c’è più , com’è possibile, fino a ieri gli potevo parlare?”…quanto avrei dato per averlo potuto abbracciare un’ultima volta. Quanto mi mancò quell’ultimo abbraccio”. Questo periodo così buio, che avrebbe potuto stendere chiunque, per la mente creativa di Vito fu come un lungo inverno che serve a far riposare i semi destinati a nascere. “La vita era dura e imparai tante lezioni: grazie al divorzio, in cui non persi mai il rispetto per me e per lei, compresi che non ero un combattente, uno che attacca, ma un lottatore, uno che sa difendersi. Dai miei figli, imparai a vedere il mondo dal loro punto di vista; disegnavo per loro personaggi di fantasia per dialogare e per vivere al massimo il poco tempo che potevo stare con loro: cosi ho creato il DES ENFANTS WORLD; dalla morte di mio padre, imparai che la vita è una e passa veloce: non avrei mai più perso un attimo del mio tempo a sognare ad occhi aperti. Se avevo un sogno avrei lottato per realizzarlo, senza aspettare.
Infine, dal mondo milanese imparai un’ultima cosa: che dovevo andare via”. Come spesso accade quando la vita ti mette a dura prova e tu ce la metti tutta per cambiare in meglio nonostante tutto, ecco che il destino allenta la presa e inizia a dare. “Tre giorni prima di tornare in Argentina per preparare il rimpatrio mi presentano Stefania. Con lei parlo fino alle tre del mattino e capisco che non la dimenticherò . Dall’Argentina sarei tornato solo per lei, perché era il mio futuro. Con lei ho dato vita ad un futuro che ora si chiama Carlotta, la mia bimba di due anni”. Il suo nuovo equilibrio dà all’artista Vito Arena la serenità per ricominciare ad avere dei sogni; la lezione di vita gli dà la determinazione per realizzare quei sogni senza aspettare.
“A febbraio 2010, ai primi annunci stampa dell’imminente Mondiale di calcio ospitato dal Sud Africa – continua Vito- fui colpito da un pensiero: era la prima volta che una competizione sportiva di livello mondiale arrivava in Africa. Misi a fuoco come quella location fosse molto simbolica. Il teatro della rivoluzione non violenta anti apartheid di Mandela ospitava il mondiale del calcio che tra tutti gli sport vanta i sostenitori più violenti e a volte razzisti. Un loro cambiamento verso un tifo pacifico avrebbe prodotto una benefica reazione a catena. Il mio primo passo fu una call to action via web. Creai una squadra di personaggi la “Golden Dream Team” vestiti con le maglie delle 32 squadre in lizza con le braccia aperte in un abbraccio, e invitai via mail tutti i miei contatti a scegliere il giocatore della propria nazione del cuore. Le moltissime adesioni crearono un opera digitale collettiva che chiamai Abrazos Futbolero. Ero pronto per passare dal mondo virtuale a quello reale e l’occasione mi arrivò dal mio paese, l’Argentina, che nel 2011 ospitava la Copa America.
Arrivai a Buenos Aires il con mio figlio Sebastian di 16 anni del tutto ignaro che quella non era una vacanza nel paese del papa bensì un’avventura artistico ed emotiva senza precedenti. Con in mano l’articolo che il Corriere mi aveva fatto un mese prima incuriosito dell’iniziativa che avevo in mente, in mano parlai ai miei cugini del mio progetto: chiamare tutti quanti, dai 2 agli 80 anni, il giorno dell’inaugurazione della Copa America per fare un enorme ABRAZO FUTBOLERO intorno a tutto lo stadio. Tra gli sguardi stupiti dei mei parenti si levò una voce sicura “Es Fantastico!!!”. Era il mio nipotino Nico, di 7 anni che aveva capito al volo. Se ad un bimbo piaceva in 2 secondi avevo la garanzia che ce la potevo fare! La mia famiglia si entusiasmò e decisero di appoggiarmi al 100%. Avevamo avanti 7 giorni alla inaugurazione per trovare la città, l’appoggio del sindaco, le autorizzazioni, annunciare l’evento per far arrivare le persone, organizzare la security per evitare incidenti, invitare i giornalisti. Ovviamente a tutte quelle cose non ci pensavo per niente, pensavo solo a come sarebbe stato il primo ABRAZO. Mia cugina Olga mi consigliò la città di San Salvador de Jujuy, capoluogo della provincia omonima, di una dimensione tale da permettere decisioni rapide da parte del governo locale e una organizzazione veloce. Partii per il Nord per incontrare il Ministro del turismo a cui proposi l’iniziativa. Mi ascoltò serio e mi disse che avrei avuto la risposta entro le successive 24 ore. Quella notte non dormii dall’emozione. Mancavano 3 giorni all’inaugurazione della Copa America.
Se mi diceva di sì, come avremmo fatto? Quando l’indomani mi disse “Va bene!” iniziarono le 72 ore più intense della mia vita. Mentre facevo stampare a Buenos Aires le segnaletiche che dovevano guidare la “folla” verso il luogo dell’ABRAZO, il Comune mi aveva organizzato una conferenza stampa, la prima della mia vita. Subito dopo mi spedirono a fare una trasmissione in radio dove trovai un deejay che praticamente mi lasciò il microfono libero per promuovere l’ABRAZO. Cosi arrivò il giorno fatale, il 29 giugno del 2011. Andai verso lo stadio con la convinzione che ci saremmo trovati in 4, io, il mio nipotino, mio cugino e mia cugina. Arrivato a 100 metri un bambino mi indica e si mette a urlare “ Ehi ma tu sei il SIGNORE DEGLI ABRAZOS! “. Ancora una volta era un bambino a darmi coraggio! Quel bambino, il mio primo fan che non fosse un parente, mi portò fortuna. Man mano che si avvicinavano le 17.00, la “gente” arrivava nei paraggi dello stadio , rimanendo in attesa. Così arrivo per la prima volta il momento dell’abrazo.
Per la prima volta vidi la “gente” diventare d’incanto tanti splendidi esseri umani che si disponevano al posto giusto. Arrivarono in circa 1500 e così riuscimmo a chiudere il cerchio e a stringere lo stadio della Copa America nel gigantesco ABRAZO dei suoi tifosi. Mentre tutto ciò accadeva, capii la mia missione”. Da quel giorno in poi, Vito Josè Arena ha portato per il la sua performance artistico etico sportiva almeno altre 20 volte. Ora Vito Arena si dedica a far conoscere a più gente possibile l’esperienza dell’ABRAZO, per canalizzare l’emozione che un gesto così naturale e umano, così spontaneo quando siamo bambini, è ancora in grado di dare a noi adulti per fissare nell’anima valori un po’ consunti e fuori moda come la voglia di pace e fratellanza. Attualmente VITO, si divide , ci dice , tra… “famiglia, abbracci, arte, design e copas….” Lo potete trovare sul suo sito web : vitojosearena.com. “ La gente si chiede per una vita cosa vuol fare da grande. L’importante – conclude Vito – per me è aver capito quello che voglio fare da bambino”.