Klaus è un compositore, direttore d’orchestra, pianista jazz di fama mondiale; è anche un cantante raffinato, nel gergo un crooner, al punto di meritarsi il soprannome di “Burt Bacharach italiano” (tra un mese, il 27 gennaio, con lo spettacolo Happy Birthday, Frank!, sarà al Blue Note, il famoso jazz club di Milano). E ’ stato il primo musicista made in Italy a laurearsi al prestigioso Berklee College of Music di Boston.
Ha suonato insieme a Walter Blangton, lo storico trombettista di Frank Sinatra, Elvis Presley, James Brown, nel periodo in cui Walter Blangton e Bellavitis si esibivano insieme a Las Vegas, ha scoperto di essere perfino un talentuoso cardician, ovvero un prestigiatore esperto di micromagia che utilizza carte da gioco, perfezionatosi in seguito grazie alle preziose lezioni dell’amico Raul Cremona.
Infine, solo qualche settimana fa, con la pubblicazione del romanzo Il Conte, pubblicato da Armenio Editore e lanciato lo scorso ottobre in occasione di Book City, Claudio “Klaus” Savoldi Bellavitis si è dimostrato anche un inaspettato scrittore di successo.
Per la sua opera prima ha scelto la fiction, ma dopo poche pagine, per chi conosce la storia romanzesca della sua famiglia, appare chiaro che nel suo racconto c’è molta autobiografia. Klaus ha voluto trasformare in romanzo una vicenda familiare che per lui ha quasi significato la rovina della sua vita, ma che grazie alla sua tempra morale e alla sua musica, ne è stata invece una sorta di doloroso, ma catartico, trampolino di lancio artistico. E’ un uomo dai molti talenti, a cui ne aggiunge uno, la gentilezza d’animo.
Caratteristica personale che, molto tempo fa, tutti i nobili portavano dentro di sé, forse addirittura scritta nei loro cromosomi. Ancora oggi in inglese letterario “GENTLE” significa “NOBILE”.“Il mio talento l’ho pagato con il sangue” esordisce Klaus sorridendo, per smussare la durezza delle sue parole. “Ho studiato molto e con grande fatica – continua l’artista – come pianista mi sono perfezionato tardi, verso i 30 anni perché la performance non era il mio vero talento, anche se oggi sono riuscito a raggiungere – almeno così dicono i miei colleghi pianisti – un buon livello di pianismo jazz. Anche nel canto ho acquistato una certa padronanza sia vocale sia scenica solo verso i miei 40 anni. Diversamente nella composizione ho da sempre dimostrato di avere qualcosa di innato e degno di nota, per perfezionarmi in questa disciplina ho lasciato l’Italia a 20 anni per frequentare la migliore scuola di musica al mondo che situata a Boston, dove 4 anni dopo sono diventato il primo italiano a laurearsi alla Berklee College of Music”.
Rotta verso gli States per ragioni di studio allora?“ La verità è che quella non era la sola ragione – risponde Klaus – in realtà stavo fuggendo non dall’Italia, bensì dalla mia famiglia”. Una famiglia molto speciale quella di Klaus, perché i Savoldi Bellavitis sono Conti, come il loro avo Professore emerito Giusto Bellavitis, Senatore del Regno d’Italia sotto Emanuele II nonché riconosciuto eroe di guerra. Oggi il fratello di Klaus, così come la madre, la sorella e il nonno, portano un cognome noto sia negli ambienti dell’aristocrazia lombarda sia negli ambienti delle cronache giudiziarie del primo decennio del 2000.
Il processo in cui tutta la sua famiglia – fatta doverosa eccezione del padre Cesare imprenditore filantropo deceduto nel 1976 e lo stesso Klaus – durato ben 11 anni si è concluso con una condanna per associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione di gioielli e opere d’arte rubate. I blasonati imputati, , hanno totalizzato una condanna complessiva di 15 anni di pena. Questo l’amaro commento che Klaus, intervistato ai tempi e definito come l’unico “buono” della dinastia Bellavitis, ha rilasciato ai media: “Per ciò che mio fratello mi ha causato, cioè privarmi della famiglia che si è sempre schierata dalla sua parte, nessun tribunale potrà mai farmi giustizia. Ho rischiato di rimanerne ingiustamente travolto nella scandalo della mia non famiglia. Per me il principio dell’onestà è stato alla base della mia vita e ritrovarmi infangato dalle loro malefatte non era accettabile. Dopo l’arresto di mio fratello, anziché fare come fecero tutti (cioè schierarsi dalla parte di mio fratello, ignorando le sue responsabilità penali), mi divincolai e collaborai con la giustizia affinché tutta la verità venisse a galla, non accettai che qualcosa venisse celato o manipolato: tutto ciò che era stato rubato doveva ritornare ai legittimi proprietari.
Non cedetti alle pressioni che mi fecero e scelsi la strada più difficile e, lo capisco solo oggi, la più coraggiosa: raccontare tutta la verità senza pensare alle conseguenze. Il Pm che seguiva le indagini, la dottoressa Rossana Penna, disse che raramente aveva incontrato una persona con un senso etico tanto retto e rigoroso. Il risultato però fu che mi trovai contro tutta la mia famiglia e mia madre, disconoscendomi come figlio, mi buttò fuori casa. Da un giorno all’altro rischiai di ritrovarmi per strada, senza un soldo e con la minaccia che inseguito lei attuò: cioè di lasciarmi senza alcuna eredità. A causa della mia onestà mi ritrovai a dover mantenere i miei figli e mia moglie con i pochi mezzi che un musicista di jazz ha a disposizione: il suo talento. Fu un periodo doloroso e terribile, ero rimasto da solo, ma alla fine dopo quasi quindici anni, ci sono riuscito. Per questo pur avendo perso tutto, mi sento un vincitore.” Ci si potrebbe domandare come sia riuscito un uomo così mite a sopravvivere a un ambiente famigliare simile e farsi protagonista di un gesto così eticamente eroico. “Ho avuto il privilegio di vivere qualche anno con una persona eccezionale: mio padre Cesare – ricorda Klaus – quando mio padre si rese conto che non mi avrebbe mai visto diventare adulto, mi lasciò una lettera che un giorno sarebbe divenuta, insieme ai suoi insegnamenti, la mia ancora di salvezza psicologica e un granitico esempio di vita: una vita dedita ai valori del lavoro duro, dell’onestà e della passione per gli altri. Insieme a questa immensa eredità spirituale, lui mi lasciò anche il suo meraviglioso sorriso a cui ho dedicato il mio progetto orchestrale My father’s Smile.
Tale progetto ha debuttato nel 2008 al Teatro Nuovo di Milano con un imponente sold out. È stato grazie a mio padre che sono cresciuto in modo autonomo rispetto alla mia restante non famiglia e grazie al suo esempio di vita sono riuscito ad allontanarmi da loro e ho trovare la mia strada nell’arte. Ancora oggi penso che tutto il lancinante dolore che ho patito perdendolo e lottando contro la mia famiglia sia stato necessario, anzi indispensabile per diventare non solo una persona migliore, ma anche un artista migliore. La mia convinzione è che se qualcuno sa trasformare dolore in bellezza, come ad esempio vorrei fare io con la musica o con la scrittura, sta sfruttando il meccanismo più nobile dell’arte. Il dolore è dunque necessario perché vi sia bellezza nella nostra vita e io voglio spegnermi con la convinzione di aver aggiunto qualcosa in più nel mondo, rispetto a quella che c’era quando sono nato.
Per farlo non occorre però il talento, ma anche l’etica. Sono altrettanto convinto che soltanto chi possiede un’anima pulita possa creare bellezza, solo chi possiede un cuore gentile possa creare un’arte altrettanto gentile, solo chi è un essere umano degno possa lasciare un segno artistico durevole. In poche parole etica ed estetica vanno di pari passo, l’una non può esistere una senza l’altra, così come – secondo me – non può esistere un bravo musicista disonesto. Io so che è così che funziona per me. E per voi?”