Dall’Asia all’Africa, dall’Europa al Latinoamerica, in tutto il mondo esistono ancora uomini e donne che, nonostante difficoltà economiche, sociali, belliche o di salute, hanno saputo trasformare il loro svantaggio in piattaforma di lancio e hanno vinto nella vita. Ora vengono invitati a parlare ai convegni e nelle università perché, grazie al loro percorso, hanno imparato un’arte rara: sanno dare speranza.
Noi di Milano Etno li abbiamo chiamati GLI ISPIRATORI. Ne incontreremo alcuni nei prossimi mesi in interviste esclusive fatte apposta per dare ispirazione ai nostri quasi 30,000 follower e agli altri che ci seguiranno. Il primo posto nella nostra lista è riservato a Javier Sotomayor, un atleta di Cuba che ai primi posti è abituato da oltre 30 anni e che un primo posto mondiale occupa imbattuto dal 27 luglio 1993, quando nello stadio El Mantica di Salamanca, a 22 anni, superò il suo stesso record personale di 4 anni prima (2,44) e arrivò al record mondiale dei 2,45 metri passando alla storia. Da quel momento solo 20 anni dopo, il 4 luglio 2013, l’ucraino Bohdan Bondarenko gli si è avvicinato, arrivando ai 2,41. Ma mancano ancora 5 centimetri per battere il suo record.
Milano Etno ha incontrato Sotomayor, “El rey de las alturas”, il giorno dopo una sua lectio magistralis agli studenti della facoltà di Scienze Motorie di Milano, organizzato dall’ateneo milanese, dall’associazione Italia Cuba e dal Comitato Regionale FIDAL. “El Soto” è di fretta, in partenza per l’Avana dopo un tour italiano destinato a raccogliere fondi per l’acquisto di farmaci antitumorali per i bambini di Cuba, ma ci dedica quasi 2 ore. “ Ho sempre cercato di avere una “disciplina social” , un impegno sociale – commenta l’atleta – in particolare rivolto ai bambini. Sono consapevole che molti giovani vogliono essere come me e guardano il mio comportamento non solo come sportivo ma anche come essere umano. Sento forte la responsabilità di essere un esempio per loro, nella vita di ogni giorno”. Chissà se questa attenzione ad essere un ISPIRATORE nasce perché lui stesso da piccolo ha dovuto affrontare prove e sacrifici . “ A 10 anni come tante promesse sportive cubane,- racconta Sotomayor – nella mia citta di Limonar, Matanzas mi allenavo in molte discipline. Mi piaceva il baseball e soprattutto la corsa. Se c’era una cosa che non mi piaceva era il salto in alto. Avevo paura. Ma i miei professori non si intenerirono e mi spedirono a Varadero alle gare regionali proprio come saltatore. “Purtroppo” ( ride…) vinsi.
Arrivai secondo e divenni un piccolo eroe. Il mio avvenire sportivo era segnato, avrei gareggiato nel salto. Un bambino di 10 anni destinato a gareggiare deve inventarsi presto un modo per sostituire ai giochi la disciplina ferrea degli allenamenti e la pressione della competizione. Così imparai un trucco , decisivo nella vita di ogni individuo e che non smetto mai di ripetere agli studenti: mettersi obiettivi personali concreti di miglioramento. Ero un bimbo ma dai 10 anni in poi ogni anno mi fissavo quello che avrei voluto saltare l’anno dopo, gareggiando soprattutto con me stesso. E funzionò, visto che sette anni dopo la mia prima gara, quella del secondo posto a Varadero, saltai 2,33 e divenni il numero 1 al mondo nella categoria Juniores”. Per il diciassettenne Sotomayor questo traguardo vuol dire l’ampliamento dei confini di competizione al mondo intero , comprese in teoria le Olimpiadi.
Ma quell’anno Cuba, come tutte le nazioni del blocco orientale, boicotta i giochi di Los Angeles e non manda nessuno dei suoi atleti. Poco male, per “el Soto” inizia egualmente una escalation di successi. “Il mio primo record mondiale mi apri la mia prospettiva al mondo
– commenta Javier- Fino ad allora volevo essere il primo a Cuba, dopo compresi un’altra importante lezione: non porsi limiti”. Fin da quando era un ragazzino di 14 anni, una figura determinante per il suo successo e il suo equilibrio psicologico era rappresentata dal suo allenatore Josè Godoy, che lo accompagna e lo allena in questa corsa al successo mondiale portandolo l’8 settembre 1988 ad un nuovo record, questa volta un record mondiale assoluto, saltando 2,43 e l’anno successivo , il 29 luglio 1989 a battere se stesso arrivando ai 2,44 metri. “ Godoy non era per me solo un allenatore – ci confessa Sotomayor – Accompagnandomi per tutta la mia adolescenza fino a diventare uomo è stato anche il mio maestro. Ho sempre saputo di valere, ma lui mi ha sostenuto nei momenti difficili in giro per il mondo, quando mi mancava la famiglia ed mi sentivo addosso la pressione delle aspettative.
Avere un maestro è un altro degli elementi decisivi per avere il successo, come prima dicevo dell’avere obiettivi concreti.” Jodè Godoy muore nel 1990 lasciando Sotomayor a 22 anni. “ Se dovessi dire qual è la stata la gioia più grande della mia vita direi senza dubbio la nascita di ognuno dei miei 4 figli – confessa Sotomayor – Allo stesso modo non ho dubbi a dire che la sofferenza più grande che ho dovuto affrontare è stata continuare a vincere in quei 4 anni senza il mio coach. Se lui fosse stato con me per più tempo, ora il record del mondo sarebbe più in alto ancora. “ Ma la vita ha in serbo per Sotomayor un’altra lezione e un altro destino, ancora da campione.” Mi scelsi un nuovo allenatore – continua l’atleta cubano – al cui metodo di allenamento mi dovetti abituare facendo forza su me stesso. Ormai ero un atleta formato, non più un ragazzino, spettava me adattarmi.
La mia fortuna fu nel capire un altro importante segreto della vita: cercare sempre le virtù nell’altro e non i difetti. Imparai ad avere fiducia nella vita, che a tutto c’è una soluzione e che davanti c’è sempre una via di uscita. Imparai tutto questo esercitandomi a pensare il meglio del mio nuovo allenatore.” Dopo un oro alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 a cui Cuba finalmente partecipa, l’appuntamento con il destino è di nuovo a Salamanca, il 27 luglio 1993, dove con un salto di 2,45 stabilisce un primato mai più avvicinato da un atleta negli anni seguenti.
Nonostante i massimi livelli raggiunti, el Rey de las alturas non si è lasciato abbagliare dal successo. “ In un solo posto al mondo ho sempre creduto di essere meglio degli altri: in gara! – commenta con una battuta – ma nella vita non penso di meritarmi privilegi perché sono un campione e nemmeno perché faccio del bene. Tutti hanno difetti ma a volte abbiamo virtù che a molti danno fastidio. Io seguo i miei princìpi umani che ho imparato dalla mia famiglia e dal mio allenatore e cerco di insegnarli ai giovani, a partire dai miei figli. Questo penso faccia di me un campione nella vita”.